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Sentenze Corte Costituzionale

Raccolta di tutte le sentenze della suprema "Corte Costituzionale"

SENTENZA N.328
ANNO 1990

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
 
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco SAJA,
Giudici
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3 della legge 16 dicembre 1985, n. 752 (Normativa-quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo) e 2 e 6 della legge regionale dell'Umbria 3 novembre 1987, n. 47 (Norme concernenti la disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), promosso con ordinanza emessa il 7 giugno 1989 dal T.A.R. dell'Umbria sui ricorsi riuniti proposti da Torlonia Annamaria contro la Regione Umbria ed altri, iscritta al n. 68 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale dell'anno 1990.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e della Regione Umbria;
udito nella camera di consiglio del 23 maggio 1990 il Giudice relatore Francesco Greco.
 
Ritenuto in fatto
 
1. - La concessionaria dell'azienda faunistico-venatoria "Schifanoia" instaurava dinanzi al T.A.R. dell'Umbria tre giudizi, poi riuniti, nei confronti della Regione Umbria e della Comunità Montana dell'Alto Chiascio, di impugnazione del provvedimento con cui si era rigettata la sua richiesta di tabellamento del fondo per escludervi la raccolta di tartufi, nonchè di alcune autorizzazioni per la raccolta rilasciate dalla detta Comunità Montana e della delibera della Giunta regionale umbra relativa a termini e modalità di presentazione di richieste di rilascio di autorizzazioni per la ricerca di tartufi nella suddetta azienda.
Il T.A.R. sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge statale 16 dicembre 1985, n. 752, e degli artt. 2 e 6 della legge regionale dell'Umbria 3 novembre 1987, n. 47, in riferimento agli artt. 42, secondo e terzo comma, e 117 della Costituzione.
1.2. - Secondo il giudice remittente l'art. 3 della legge n. 752 del 1985 e l'art. 2 della legge regionale n. 47 del 1987, di identico contenuto, i quali sanciscono la libertà della raccolta dei tartufi nei boschi e nei terreni incolti e la possibilità di riservarsi la proprietà dei tartufi raccolti solo per i proprietari delle tartufai coltivate o controllate, prevederebbero una sottrazione originaria del bene al legittimo proprietario del tutto sproporzionata rispetto all'interesse generale perseguito, posto che sarebbe stato più ragionevole ed equo prevedere la libera ricerca solo nel caso di inerzia del proprietario del terreno nella raccolta.
Invece, le disposizioni censurate consentirebbero al proprietario di riservarsi la raccolta dei tartufi solo se sopportasse il gravoso onere di apportare miglioramenti ed incrementi della coltivazione, mentre nessun onere sarebbe imposto ai terzi.
La menomazione del diritto di proprietà urterebbe contro il precetto costituzionale citato perchè non sarebbe previsto alcun indennizzo o compenso che, invece, si sarebbe dovuto prevedere vertendosi in una situazione di vero e proprio trasferimento forzoso di beni ed utilità a vantaggio di terzi.
1.3 - L'art. 6 della legge regionale n. 47 del 1987, il quale reca una disciplina particolare per la ricerca dei tartufi nelle aziende faunistico-venatorie, violerebbe gli artt. 117 e 42 della Costituzione, in quanto estenderebbe il regime della libera raccolta anche nei terreni delle dette aziende, limitando ulteriormente il diritto di proprietà e venendo così ad incidere nei rapporti intersoggettivi, la cui regolamentazione é preclusa al legislatore regionale.
2.- Il giudice a quo ha ritenuto le questioni sollevate rilevanti, in quanto la eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate condurrebbe alla caducazione delle autorizzazioni di raccolta dei tartufi rilasciate dalla Comunità Montana e alla impossibilità di rilasciarne altre, oltre che al riconoscimento a favore della parte privata della facoltà di tabellazione del fondo.
3.- L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
4.- Nel giudizio sono intervenuti sia il Presidente del Consiglio dei ministri che il Presidente della Giunta regionale umbra, rappresentati entrambi dall'Avvocatura generale dello Stato.
Essa ha preliminarmente eccepito la inammissibilità per irrilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge n. 752 del 1985, posto che solo la legge regionale (art. 6) estende il regime della libera raccolta dei tartufi anche alle aziende faunistico-venatorie, ponendosi in contrasto, secondo il giudice a quo, con gli artt. 117 e 42 della Costituzione.
La censura sarebbe, inoltre, affetta da contraddittorietà stante la inconciliabilità della denuncia della norma statale, sotto il profilo dell'art. 42 della Costituzione, con quella concernente la norma regionale, sotto il profilo dell'art. 117 della Costituzione, norme separatamente individuate come fonte esclusiva della regolamentazione lesiva. La contraddittorietà renderebbe inammissibili le questioni nei termini in cui sono state prospettate.
Secondo la difesa delle interventrici, 1,interpretazione fornita dal giudice a quo sarebbe errata in quanto anche dai lavori preparatori risulta che il regime della libera raccolta si era voluto anche per le aziende faunistico-venatorie, le quali non implicano alcuna coltivazione dei fondi, ma postulano la conservazione dell'ambiente naturale ivi esistente.
Sarebbe inconferente la censura che attiene al profilo della mancata previsione di un indennizzo o della facoltà del proprietario dei fondi sui quali insistono le aziende faunistico-venatorie di riservarsi la raccolta dei tartufi, in considerazione dell'oggetto dei giudizi a quibus, concernenti l'esclusione dei terzi dalla ricerca e raccolta.
La ricerca nei terreni non coltivati costituisce l'oggetto di un uso civico a favore di una determinata collettività, mentre, nel caso di gestione di una tartufaia coltivata o controllata, occorre tenere conto degli oneri che sopporta il proprietario onde, rispetto all'altra ipotesi, risulta giustificata la riserva a suo favore della raccolta dei tartufi. pertanto, la scelta del legislatore é pienamente ragionevole, in conformità alla tradizione vigente in materia ed agli interessi generali perseguiti, coerentemente con il disposto dell'art. 44 della Costituzione.
 
Considerato in diritto
 
1. - Il T.A.R. dell'Umbria dubita della legittimità costituzionale:
a) degli artt. 3 della legge statale 16 dicembre 1985, n. 752, e 2 della legge regionale dell'Umbria 3 novembre 1987, n. 47, nella parte in cui sanciscono la libera raccolta dei tartufi nei boschi e nei terreni non coltivati e la possibilità di riserva della proprietà degli stessi solo in favore di chi gestisce tartufaie coltivate o controllate, in quanto risulterebbe violato l'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, perchè le dette disposizioni, a fronte di una sottrazione originaria del bene al legittimo proprietario, non prevedono alcuna forma di indennizzo, e, irrazionalmente, consentono al proprietario dei terreni la possibilità della riserva della raccolta solo sopportando i rilevanti oneri economici per la coltivazione e il controllo delle tartufaie, oneri che, invece, non incontrano i terzi ammessi alla libera raccolta;
b) dell'art. 6 della legge regionale n. 47 del 1987, in quanto, estendendo il regime della libera raccolta dei tartufi anche ai terreni in cui si trovano le aziende faunistico-venatorie, violerebbe gli artt. 117 e 42 della Costituzione, perchè attua una disciplina di rapporti interprivati sottratti alla potestà normativa regionale.
2. - Le questioni non sono fondate per quanto si dirà.
La legge quadro n. 752 del 1985 detta nuove norme in materia di raccolta, coltivazione e commercio di tartufi freschi o conservati destinati al commercio. Essa, ovviando alla insufficienza e alla inadeguatezza della precedente legge n. 568 del 1970, persegue la finalità di salvaguardare un patrimonio ambientale di grande valore, specie a favore di quella parte della popolazione che nella ricerca e raccolta dei tartufi trova un motivo di distensione ed anche di integrazione del proprio reddito.
La nuova disciplina è più adeguata alla rilevanza economica della attività che si protegge ed evita che la raccolta indisciplinata produca l'estinzione delle tartufaie e danni irreparabili al patrimonio ambientale.
Inoltre, si sono tutelati anche gli interessi delle popolazioni che ne traggono vantaggio, le loro consuetudini e gli eventuali usi civici.
La normativa statale fornisce i principi ed i criteri per la disciplina di dettaglio che spetta alle Regioni nell'esercizio della potestà legislativa in materia di conservazione del patrimonio naturale e dell'assetto ambientale.
La detta legge quadro sancisce la libera raccolta dei tartufi nei boschi e nei terreni non coltivati; riconosce a tutti coloro che hanno diritti di godimento sul fondo o che vi conducono tartufaie, coltivate o controllate, il diritto di proprietà sui tartufi ivi prodotti, autorizzandoli ad apporre apposite tabelle.
La raccolta non è consentita, quindi, nei terreni coltivati e, anche in base alle norme contenute nel codice civile (artt. 841 e 842), nei fondi chiusi, specie nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia.
Non sussiste la dedotta lesione dell'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, per la mancata previsione da parte del legislatore statale di un indennizzo o di un compenso a favore del proprietario di terreni non coltivati o di boschi.
Si è, invero, più volte affermato (sentenze della Corte costituzionale nn. 6 del 1966, 55 e 56 del 1968, 245 del 1976) che la detta violazione non si verifica allorquando, come nella fattispecie, i limiti posti alla proprietà privata si riferiscano ai modi di godimento di intere categorie di beni, specie nell'ambito della attuazione della funzione sociale che deve svolgere il diritto di proprietà per la tutela accordata ad interessi sociali e quindi pubblici che fanno capo alla generalità dei cittadini.
Per quanto riguarda la illegittimità costituzionale dell'art. 6 della legge n. 47 del 1987, si osserva che con detta disposizione si è inteso disciplinare, nell'ambito della legislazione di dettaglio che compete alla Regione, la raccolta dei tartufi nei terreni soggetti anche a uso civico, al vincolo connesso alla attività venatoria nonchè nelle aziende faunistico-venatorie.
Per queste ultime si sono previsti dei limiti alla libera raccolta e cioè l'autorizzazione della Comunità Montana competente per territorio, l'audizione del legale rappresentante della concessionaria o del proprietario, l'ammissione di un numero limitato di raccoglitori con due soli cani, i turni della raccolta, le modalità di accesso nei soli giorni di silenzio venatorio.
La disciplina in esame va anzitutto coordinata con quella specifica delle aziende faunistico-venatorie rientrante in quella più ampia della caccia dettata con la legge statale n. 968 del 1977, la legge regionale dell'Umbria n. 21 del 1986, ed il regolamento regionale 7 agosto 1986, n. 2.
L'art. 36 della legge statale stabilisce che le aziende faunistico- venatorie, o derivate dalle riserve di caccia o di nuova costituzione, hanno come scopo il mantenimento, l'organizzazione e il miglioramento degli ambienti naturali anche ai fini dell'incremento della fauna selvatica.
La disciplina riguarda le aziende di rilevante interesse naturalistico e faunistico con particolare riferimento alla tipica fauna alpina, alla grossa selvaggina europea e alla fauna acquatica.
Si demanda alle Regioni il coordinamento e l'approvazione dei piani annuali di ripopolamento e di abbattimento della selvaggina compatibili con le finalità naturalistiche e faunistiche nonchè l'indicazione dei criteri di gestione.
La Regione Umbria ha, da ultimo, emanato la legge n. 21 del 1986 ed il regolamento n. 2 del 1986.
Si sono previste tre categorie di aziende venatorie (art. 25 della legge n. 21 del 1986 e art. 2 del regolamento) a seconda della proprietà dei terreni e delle specie degli animali.
Si è specificamente sancito (art. 25, sesto comma, della legge regionale) che la concessione per l'allevamento del cinghiale e degli ungulati è rilasciata a condizione che i terreni a ciò destinati siano delimitati da barriere naturali o artificiali insuperabili dalla selvaggina allevata e tabellati (art. 11 del regolamento), mentre l'art. 6 del regolamento regola la idoneità del territorio.
Ora, la disciplina della raccolta dei tartufi di cui all'art. 6 della legge regionale deve essere anzitutto ispirata ai principi della legge quadro, peraltro, ripetuti nella stessa legge regionale (art. 2 della legge regionale n. 47 del 1987) secondo cui la raccolta è libera nei boschi e nei terreni non coltivati e, limitatamente alle aziende faunistico-venatorie esistenti nei detti luoghi, con le modalità di cui all'art. 6 della stessa legge regionale innanzi richiamata; mentre è vietata nei terreni coltivati e nei fondi chiusi e recintati e, comunque, nelle aziende faunistico-venatorie che ivi insistono e che sono chiuse con recinzioni, barriere o palizzate secondo le previsioni della legge regionale sulla caccia e pedissequo regolamento ribadite nella concessione.
Pertanto, le concessionarie di aziende faunistico-venatorie che si trovano in terreni coltivati o che, ovunque site, hanno un perimetro chiuso con recinzioni o barriere o palizzate non hanno alcun interesse alla apposizione di tabelle recanti il divieto di raccolta di tartufi, non essendo in esse consentita, secondo l'interpretazione che si è data delle norme applicabili, la libera raccolta.
Non sono fondate le censure sollevate dell'art. 6 della legge regionale n. 47 del 1987, in quanto la Regione ha emanato la legislazione di dettaglio secondo i principi e i criteri della legge quadro statale, nell'esercizio di una competenza propria. Ha poi correttamente coordinato la disciplina della raccolta dei tartufi nelle aziende faunistico-venatorie con la disciplina specifica delle stesse dettata dalla legge quadro statale e dalla legge regionale sulla caccia e dal regolamento delle aziende faunistico-venatorie.
Non ha regolato affatto rapporti intersoggettivi di diritto privato nè, in particolare, ha emanato norme incidenti sul diritto di proprietà di dette aziende.
 
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
 
dichiara non fondata , nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3 della legge 16 dicembre 1985, n. 752 (Normativa-quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo) e 2 e 6 della legge regionale dell'Umbria 3 novembre 1987, n. 47 (Norme concernenti la disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), in riferimento agli artt. 42, secondo e terzo comma, e 117 della Costituzione, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale con l'ordinanza in epigrafe.
 
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/06/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Francesco GRECO, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 13/07/90.

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco AMIRANTE Presidente

- Ugo DE SIERVO Giudice

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

- Alfonso QUARANTA "

- Franco GALLO "

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Maria Rita SAULLE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

- Giuseppe FRIGO "

- Alessandro CRISCUOLO "

- Paolo GROSSI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 18 della legge della Regione Umbria 26 maggio 2004, n. 8 (Ulteriori modificazioni ed integrazioni della legge regionale 28 febbraio 1994, n. 6 - Disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), promosso dal Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria nei procedimenti riuniti vertenti tra il Consorzio del tartufo di Roscetti ed altri e la Comunità Montana dell'Alto Tevere Umbro ed altri con ordinanza del 5 giugno 2008, iscritta al n. 311 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 2008.

Visti gli atti di costituzione del Consorzio del tartufo di Roscetti ed

altra, di Brofferio Diego ed altro e dell'Associazione Tartufai del Comprensorio Eugubino-Gualdese;

udito nell'udienza pubblica del 21 aprile 2009 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi gli avvocati Mario Rampini per il Consorzio del tartufo di Roscetti ed altra, Marco Massoli per Brofferio Diego ed altro.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria con ordinanza del 5 giugno 2008 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge della Regione Umbria 26 maggio 2004, n. 8 (Ulteriori modificazioni ed integrazioni della legge regionale 28 febbraio 1994, n. 6 - Disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), nella parte in cui, aggiungendo i commi 2-quater e 2-quinquies all'art. 4 della legge della Regione Umbria 28 febbraio 1994, n. 6 (Disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), prevede limiti all'estensione territoriale delle tartufaie controllate o coltivate, nonché, in riferimento ai medesimi parametri, dell'art. 18 della medesima legge regionale n. 8 del 2004 nella parte in cui estende l'applicazione delle nuove norme anche alle tartufaie già riconosciute.

Il rimettente premette che la disciplina statale in materia di raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi prevede, ai sensi dell'art. 3 della legge quadro statale, 16 dicembre 1985, n. 752 (Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo), che «la raccolta dei tartufi è libera nei boschi e nei terreni non coltivati» e che «hanno diritto di proprietà sui tartufi prodotti nelle tartufaie coltivate o controllate tutti coloro che le conducano [...] purché

vengano apposte apposite tabelle delimitanti le tartufaie stesse». La Regione Umbria ha dato attuazione alla disciplina statale con la legge regionale n. 6 del 1994 che, nel suo testo originario, non poneva alcun limite alle dimensioni delle tartufaie coltivate o controllate, limiti che invece sono stati introdotti, per le tartufaie controllate, dall'art. 4 della legge n. 8 del 2004 oggetto del presente giudizio di costituzionalità. In particolare la norma censurata ha previsto, al comma 2-quater aggiunto all'art. 4 della legge regionale n. 6 del 1994, che «la superficie massima delle tartufaie controllate non può superare i tre ettari», e al comma 2-quinquies che «nei confronti di eventuali consorzi od altre forme associative tra aventi titolo alle tartufaie controllate, comunque tra loro confinanti, il limite di cui al comma 2-quater è elevato a 15 ettari». Inoltre, all'art. 18, è previsto che «entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge, le tartufaie controllate costituite precedentemente dovranno essere riperimetrate».

Così delineato il quadro normativo di riferimento, il TAR dell'Umbria riferisce che i ricorrenti nel giudizio principale hanno impugnato i provvedimenti delle locali comunità montane con i quali è stata rigettata la domanda di rinnovo del riconoscimento della qualifica di tartufaie controllate per la parte di terreno eccedente il limite previsto dalle norme ora indicate, vale

a dire di quindici ettari per i consorzi e di tre ettari negli altri casi e aggiunge, in punto di rilevanza, che gli atti amministrativi impugnati risultano aderenti alle disposizioni della legge regionale e che per tale motivo «appare rilevante e non eludibile la questione di legittimità costituzionale».

 

Secondo il rimettente, le norme in oggetto violerebbero l'art. 117, terzo comma, Cost. in quanto, rientrando nell'ambito della competenza concorrente relativa alla valorizzazione dei beni ambientali, si porrebbero in contrasto con il principio fondamentale recato dall'art. 3 della legge quadro n. 752 del 1985 per la disciplina della raccolta libera dei tartufi, che non prevede limiti per l'individuazione delle tartufaie controllate.

Inoltre, l'introduzione dei suddetti limiti di estensione territoriale violerebbe gli artt. 3, 41 e 42 Cost. determinando una irragionevole disparità di trattamento fra il ricercatore e il proprietario del fondo, il primo dei quali si arricchirebbe ingiustamente a detrimento del secondo, potendo lucrare, oltre al giusto compenso per la propria opera di ricerca, anche il maggior valore inerente ad un bene economico alla cui produzione in nessun modo ha concorso, sottraendolo interamente al proprietario.

Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribuna le rimettente evidenzia che i prodotti vegetali sono frutti naturali che appartengono di diritto al proprietario del fondo, quand'anche alla loro produzione non concorra l'opera dell'uomo. Il diritto di proprietà sui frutti della cosa sarebbe un principio fondamentale dello statuto della proprietà fondiaria: anzi, ne costituirebbe l'essenza, in quanto, a ben vedere, la proprietà di un terreno agricolo o boschivo consisterebbe proprio nel dritto esclusivo di appropriarsi dei frutti, anche spontanei. Pertanto, le eventuali eccezioni al principio indicato dovrebbero avere una giustificazione razionale, etica e sociale e dovrebbero comunque essere limitate. L'eccezione che ammette la libertà di raccolta di taluni prodotti spontanei quali i fiori di campo, le bacche ed erbe selvatiche e simili si baserebbe, dunque, su due presupposti: che i prodotti siano privi di un valore economico intrinseco, raccolti solo per diletto e destinati all'autoconsumo o, al più, alla cessione ad un prezzo che non eccede la modesta remunerazione dell'opera del raccoglitore, e che si possa presumere il disinteresse del

proprietario.

A questa logica sarebbe ispirata la sentenza n. 328 del 1990 con la quale la Corte ha ritenuto costituzionalmente legittima la norma che riconosce la libertà di raccolta dei tartufi, in quanto protegge le esigenze «di quella parte della popolazione che nella ricerca e raccolta dei tartufi trova un motivo di distensione ed anche di integrazione del proprio reddito».Tuttavia, a parere del rimettente, oggi la situazione sarebbe del tutto diversa, dal momento che il tartufo è diventato un bene di elevatissimo valore commerciale e, dunque, il diritto del ricercatore non dovrebbe più prevalere su quello del proprietario del fondo.

In altre parole, la normativa in esame sarebbe censurabile «perché consente al ricercatore non solo di ritrarre un giusto compenso per la propria opera, ma di lucrare il maggior valore inerente ad un bene economico alla cui produzione in nessun modo ha concorso, sottraendolo interamente al proprietario di quello che è il suo maggiore, o unico, fattore di produzione».

Da queste considerazioni, secondo il rimettente, si ricaverebbe innanzitutto una violazione, da parte delle disposizioni censurate, oltre che dell'art. 42 della Costituzione, anche dell'art. 3, in quanto vi sarebbe irragionevole disparità di trattamento fra raccoglitore e proprietario, il primo dei quali si arricchirebbe ingiustamente a detrimento del secondo.

Inoltre risulterebbe violato il principio fondamentale recato dall'art. 3 della legge quadro n. 752 del 1985 per la disciplina della raccolta libera dei rifiuti, che non prevede limiti per l'individuazione delle tartufaie controllate o coltivate. Infatti, secondo il TAR umbro, il legislatore nazionale ha bilanciato equamente i contrapposti interessi contemperando la libertà del ricercatore con la facoltà, data al proprietario del fondo, di qualificare come tartufaia controllata (con i conseguenti obblighi e diritti) tutte le superfici che ne siano

tecnicamente idonee, senza limiti di estensione.

Secondo il rimettente il legislatore regionale, con la norma censurata, in violazione della legislazione statale, avrebbe rotto l'equilibrio tra libertà di raccolta e tutela degli interessi del proprietario del fondo, esorbitando dal proprio potere di integrazione e specificazione dei contenuti della legge quadro.

Il TAR della Regione Umbria evidenzia, inoltre, che la scelta del proprietario del fondo, di istituire una «tartufaia controllata» e di chiederne il riconoscimento, non costituisce solo un atto di esercizio del diritto di proprietà (inteso a provocare l'effetto di precludere ai terzi la raccolta dei tartufi) ma rappresenta anche un atto di iniziativa economica, come risulta dalla disciplina dettata dalla legge regionale n. 6 del 1994 che subordina il riconoscimento

all'accertamento di una serie di condizioni oggettive, e all'assunzione, da parte del proprietario, dell'impegno di effettuare una serie di interventi (ovviamente onerosi) di miglioramento, manutenzione ed incremento il cui mancato adempimento comporta la revoca del riconoscimento (art. 9, comma 6) oltre ad una sanzione pecuniaria (art. 20).

In questa luce, l'esclusività del diritto di raccogliere i tartufi accordata al titolare della tartufaia controllata, sembrerebbe correlata, non solo e non tanto, al diritto di proprietà, quanto al fatto che i tartufi sono considerati il risultato di un'attività produttiva programmata, organizzata e dispendiosa. Di conseguenza, la disposizione introdotta dalla legge regionale n. 8 del 2004, inciderebbe non solo sul diritto di proprietà (art. 42 della Costituzione) ma anche sulla libertà d'impresa (art. 41) impedendo al proprietario di assumere un'iniziativa economica con investimenti e lavoro, a fronte della prospettiva di

un utile.

Il rimettente, in subordine, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 della legge regionale n. 8 del 2004 che, anziché far salve le tartufaie controllate riconosciute anteriormente alla sua entrata in vigore, ha assoggettato anche queste ultime alla nuova disciplina, ordinandone la riperimetrazione. In tal modo risulterebbero compromesse le legittime aspettative maturate dai titolari per effetto non solo e non tanto degli atti amministrativi di riconoscimento, ma anche e soprattutto degli investimenti già effettuati e dei lavori compiuti, circostanze che renderebbero ancor più evidenti le violazioni degli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione.

2.1. – Con atti depositati il 27 ottobre 2008 si sono costituiti in giudizio, rispettivamente, il Consorzio del tartufo di Roscetti, Brofferio Diego e Brofferio Alfredo, in proprio e quali legali rappresentanti dell'Azienda Agraria “Il palazzetto”, e l'Azienda Agraria Ganovelli Franco e Giorgio, parti del giudizio a quo, chiedendo la declaratoria di incostituzionalità delle norme censurate dal TAR dell'Umbria.

In fatto tutte le parti sopraindicate, ricorrenti nel giudizio a quo, dichiarano che la Comunità Montana con i provvedimenti impugnati, in applicazione della nuova normativa, ha rigettato la loro richiesto di rinnovo del riconoscimento della qualifica di tartufaia controllata per la parte di terreno eccedente il limite previsto dalle norme censurate, vale a dire di quindici ettari per i consorzi e di tre ettari negli altri casi.

Le parti private evidenziano che, in passato, al fine di ottenere il suddetto riconoscimento per i loro terreni, hanno posto in essere ingenti investimenti volti a soddisfare le richieste della Regione, cui era subordinato appunto il rilascio dell'attestato di tartufaia controllata, tanto da poter affermare che si è trattato di investimenti per una vera e propria attività imprenditoriale ed anche di ragguardevoli dimensioni. Pertanto la disposizione introdotta

dall'art. 4 della legge regionale n. 8 del 2004, sull'estensione massima delle tartufaie controllate, verrebbe ad applicarsi anche nei confronti di soggetti che rivestono una particolare posizione, qualificata e consolidata in ragione di una struttura imprenditoriale di rilevanti dimensioni, venutasi a creare esclusivamente sul presupposto del particolare regime di privativa sulla produzione dei tartufi che la legge statale n. 752 del 1985 e la precedente legge regionale conferivano in via generale alle tartufaie controllate ed in particolare alle imprese agricole e forestali.

In tal modo, verrebbe attuata, di fatto, una vera e propria espropriazione di una parte significativa, se non addirittura essenziale, dell'intera struttura aziendale coincidente con la predisposizione di tutte le migliori condizioni per la produzione dei tartufi, incidendo in modo determinante sull'esercizio del diritto di impresa per effetto della eliminazione in via autoritativa della disponibilità esclusiva dei fattori della produzione.

Tale forma di espropriazione, tuttavia, oltre a non prevedere alcun indennizzo con violazione dell'art. 42 Cost., non sarebbe nemmeno contemplata da una legge statale, così come richiesto dal riparto di competenze legislative sancito dalla Costituzione.

Il legislatore regionale avrebbe anche violato il riparto di competenze di cui all'art. 117 Cost., secondo comma, lettera l), che riserva in via esclusiva allo Stato la materia dell'ordinamento civile, in quanto, per effetto della disciplina regionale, il diritto di proprietà sui tartufi, riconosciuto dalla normativa statale, verrebbe a decadere per la semplice decorrenza del termine quinquennale.

Sotto un ulteriore profilo, inoltre, l'illegittimità costituzionale della normativa regionale di riferimento discenderebbe anche dalla mancata previsione di una esplicita norma diretta ad imporre un'applicazione non retroattiva dei limiti posti all'attività imprenditoriale (nella specie, attraverso l'indiscriminata riduzione del comprensorio territoriale interessato dalla

tartufaia controllata), limiti che altrimenti costituirebbero una palese violazione del principio di libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.).

L'effettivo e sostanziale riconoscimento, invece, del diritto di libertà di iniziativa economica da parte del privato non avrebbe potuto che discendere dal doveroso mantenimento di una situazione produttiva ed imprenditoriale venutasi a creare facendo legittimo affidamento su un determinato status quo sia di fatto che di diritto.

2.2. – Con atto depositato il 27 ottobre 2008 si è costituita in giudizio l'Associazione Tartufai del Comprensorio Eugubino-Gualdese, a mezzo del suo Presidente e legale rappresentante, chiedendo che le questioni sollevate dal TAR dell'Umbria siano dichiarate inammissibili o infondate.

Secondo quest'altra parte privata, interveniente ad opponendum nel giudizio a quo, le questioni oggetto del presente giudizio sarebbero state già state valutate dalla Corte costituzionale quando, con la sentenza n. 212 del 2006, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge regionale n. 8 del 2004 in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere l) e s), e terzo comma, della Costituzione.

In tale occasione la Corte, muovendo dall'evidente genericità della definizione di tartufaia controllata fornita dall'art. 3 della legge quadro n. 752 del 1985, ha affermato come «non possa ritenersi precluso alle Regioni, in base alle regole di riparto della competenza nelle materie di legislazione concorrente, fissare requisiti e limiti delle tartufaie controllate in relazione alla specificità del territorio regionale, onde evitare una eccessiva compressione del principio fondamentale della libera raccolta nei boschi e nei terreni non coltivati, precisando altresì che detta regolamentazione non incide di per sé sul regime di proprietà dei tartufi, che, al contrario, resta disciplinato dalle norme di principio dettate dalla legislazione statale ed in particolare dall'art. 3 della legge n. 752 del 1985».

 

Pertanto sarebbe del tutto errato il presupposto interpretativo del remittente secondo il quale il legislatore regionale, introducendo limiti dimensionali alle tartufaie controllate, non si sarebbe limitato ad integrare e specificare i contenuti della legge quadro, bensì avrebbe posto una limitazione non compatibile con la filosofia della legge statale. In realtà il principio fondamentale desumibile dall'art. 3 della legge n.752 del 1985, contrariamente a quanto prospettato dall'ordinanza di rimessione, sarebbe, infatti, quello della libera raccolta dei tartufi nei boschi e nei terreni non coltivati, principio che dovrebbe prevalere nel bilanciamento tra l'interesse dei conduttori e dei proprietari delle tartufaie e l'interesse dei raccoglitori.

L'art. 4 della legge regionale n. 8 del 2004 sarebbe una mera norma di dettaglio che, lungi dall'imporre arbitrariamente limitazioni al diritto di proprietà sui tartufi, si limiterebbe, conformemente alla delega contenuta all'art. 1 della legge quadro, all'individuazione di un limite perimetrale massimo all'estensione delle tartufaie controllate.

Infine, con riferimento alla sospetta violazione dell'art. 41 della Costituzione, risulterebbe evidente come l'attività posta in essere dai proprietari delle tartufaie controllate sia, in realtà, un'attività di esigue proporzioni, che, in quanto tale, non rientra nella libertà di iniziativa economica di cui all'art. 41 della Costituzione.

Parimenti priva di qualsivoglia fondamento sarebbe l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 18 della stessa legge regionale, che applica i limiti dimensionali introdotti dall'art. 4 alle tartufaie già riconosciute, ordinandone la riperimetrazione entro un anno dall'entrata in vigore della legge. Quelle dei proprietari sarebbero situazioni giuridiche soggettive che non assumono la consistenza di diritti quesiti, non essendo espressione di interessi giuridici consolidati, ma in divenire, ovvero situazioni la cui asserita lesione da parte del legislatore regionale si rivela palesemente inidonea a fondare la sollevata eccezione di incostituzionalità.

In ogni caso, il termine fissato dall'art. 18, comma 2, della legge regionale predisporrebbe una tutela sufficiente per i proprietari dei terreni adibiti a tartufaie controllate, consentendo un graduale e progressivo ridimensionamento di quest'ultime.

In prossimità dell'udienza, il Consorzio del tartufo di Roscetti ha presentato una memoria con la quale ha ribadito le proprie argomentazioni a favore dell'accoglimento della questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 117 della Costituzione, dell'art. 4 della legge della Regione Umbria 26 maggio 2004, n. 8 (Ulteriori modificazioni ed integrazioni della legge regionale 28 febbraio 1994, n. 6 - Disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), nella parte in cui, aggiungendo i commi 2-quater e 2-quinquies all'art. 4 della legge della Regione Umbria 28 febbraio 1994, n. 6 (Disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), prevede limiti all'estensione territoriale delle tartufaie controllate o coltivate, nonché, in riferimento ai medesimi parametri, dell'art. 18 della medesima legge regionale, nella parte in cui estende l'applicazione delle nuove norme anche alle tartufaie già riconosciute.

Secondo il rimettente, le norme in oggetto violerebbero l'art. 117, terzo comma, Cost. in quanto, rientrando nell'ambito della competenza concorrente relativa alla valorizzazione dei beni ambientali, si porrebbero in contrasto con il principio fondamentale recato dall'art. 3 della legge quadro statale, 16 dicembre 1985, n. 752 (Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo), per la disciplina della raccolta libera dei tartufi, che non prevede limiti per l'individuazione delle tartufaie controllate o coltivate. Inoltre, l'introduzione dei suddetti limiti di estensione territoriale violerebbe gli artt. 3, 41 e 42 Cost., determinando una irragionevole disparità di

trattamento fra il ricercatore e il proprietario del fondo, il primo dei quali si arricchirebbe ingiustamente a detrimento del secondo, potendo lucrare, oltre al giusto compenso per la propria opera di ricerca, anche il maggior valore inerente ad un bene economico alla cui produzione in nessun modo ha concorso, sottraendolo interamente al proprietario.

Il TAR dell'Umbria, sul presupposto che la raccolta dei tartufi sia un'attività produttiva, ritiene violato anche l'art. 41 Cost., in quanto le disposizioni introdotte dalla legge regionale, nel porre limiti estremamente restrittivi all'estensione delle tartufaie controllate, inciderebbero sulla libertà d'impresa, impedendo al proprietario di assumere iniziative economiche con investimenti e lavoro, a fronte della prospettiva di un utile.

In subordine, il rimettente ripropone le stesse censure nei confronti dell'art. 18 della legge regionale n. 8 del 2004 che, anziché far salve le tartufaie controllate riconosciute anteriormente alla sua entrata in vigore, ha ordinato la loro riperimetrazione entro un anno dall'entrata in vigore della legge, assoggettandole così alla nuova disciplina in violazione degli artt. 3, 41 e 42 Cost.. La norma comprometterebbe le legittime aspettative dei titolari dei fondi, maturate per effetto non solo e non tanto degli atti amministrativi di riconoscimento, ma anche e soprattutto degli investimenti già effettuati e dei lavori compiuti.

2. – Le questioni non sono fondate.

Questa Corte ha già affermato che l'ambito materiale al quale si deve

ascrivere la disciplina della raccolta dei tartufi, che è oggetto della legge regionale n. 8 del 2004, è quello della valorizzazione dei beni ambientali, di competenza concorrente, ciò in quanto «il patrimonio tartuficolo costituisce una risorsa ambientale della Regione, suscettibile di razionale sfruttamento, la cui valorizzazione compete perciò alla Regione medesima, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, nel rispetto dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale» (sentenza n. 212 del 2006). In tale occasione la Corte ha anche delimitato la portata del principio fondamentale della materia, secondo il quale «la raccolta dei tartufi è libera nei boschi e nei terreni non coltivati» (art. 3 della legge n. 752 del 1985), precisando che, secondo il legislatore statale, coessenziale all'affermazione di tale libertà è la sua limitazione al solo ambito dei boschi e dei terreni non coltivati, nell'ottica di un ragionevole bilanciamento tra le esigenze «di

quella parte della popolazione che nella ricerca e raccolta dei tartufi trova un motivo di distensione ed anche di integrazione del proprio reddito (sentenza n. 328 del 1990) e la necessità di difendere il patrimonio ambientale dal rischio di danni irreparabili e di tutelare altresì i diritti dei proprietari dei fondi» (sentenza n. 212 del 2006).

La Corte ha, poi, precisato che la legge quadro n. 752 del 1985, all'art.3, quinto comma, si limita a definire le tartufaie controllate come «tartufaie naturali migliorate e incrementate con la messa a dimora di un congruo numero di piante tartufigene» e, che, stante l'evidente genericità di tale definizione, di per sé insuscettibile di pratica applicazione, non può che spettare alle Regioni, in base alle regole di riparto della competenza nelle materie di legislazione concorrente, la normativa di dettaglio diretta alla concreta individuazione dei requisiti per il riconoscimento di tartufaia controllata. In particolare, «in mancanza di qualsiasi enunciazione di principio, nella legge statale, riguardo alla estensione delle suddette tartufaie controllate, non può certamente ritenersi precluso alle medesime Regioni di fissare limiti massimi, in relazione alle specifiche caratteristiche del territorio regionale, onde evitare una eccessiva compressione del principio fondamentale della libera raccolta nei boschi e nei terreni non coltivati» (sentenza n. 212 del 2006).

In conclusione, con riferimento alla prima censura relativa alla violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., deve escludersi l'esistenza, nella legislazione statale, di un principio fondamentale, quale quello elaborato dal rimettente, secondo il quale sarebbe vietato al legislatore regionale prevedere limiti territoriali per l'estensione delle tartufaie controllate.

Quanto alle altre censure relative agli artt. 3, 41 e 42 Cost., con le quali si lamenta l'irragionevole e illegittima compressione del diritto di proprietà e del diritto di libera iniziativa economica dei titolari delle tartufaie controllate, va in primo luogo richiamata la sentenza di questa Corte n. 328 del 1990, con la quale si è negata la violazione dell'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, per la mancata previsione da parte del legislatore statale di un indennizzo o di un compenso a favore dei proprietari di terreni non coltivati o di boschi a fronte del mancato riconoscimento del loro diritto esclusivo di

proprietà sui tartufi.

Con tale sentenza la Corte ha ribadito che «detta violazione non si verifica allorquando, come nella fattispecie, i limiti posti alla proprietà privata si riferiscano ai modi di godimento di intere categorie di beni, specie nell'ambito della attuazione della funzione sociale che deve svolgere il diritto di proprietà per la tutela accordata ad interessi sociali e quindi pubblici che fanno capo alla generalità dei cittadini». La funzione sociale che persegue il principio della libera raccolta dei tartufi è, come già dianzi

accennato, quella «di salvaguardare un patrimonio ambientale di grande valore, specie a favore di quella parte della popolazione che nella ricerca e raccolta dei tartufi trova un motivo di distensione ed anche di integrazione del proprio reddito» (sentenza n. 328 del 1990).

Le motivazioni ora riferite, che sono state poste a base del rigetto della questione relativa alla mancanza di indennizzo per i proprietari dei boschi e dei terreni non coltivati in violazione dell'art. 42, terzo comma, Cost, ben possono estendersi anche alla presunta violazione dell'art. 41 Cost., dovendosi ritenere non configurabile una lesione della libertà d'iniziativa economica allorché l'apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all'utilità sociale. Ciò che conta è che, per un verso, l'individuazione dell'utilità sociale, come ora motivata, non appaia arbitraria e che, per altro verso, gli interventi del

legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue (sentenza n. 548 del 1990).

Va, altresì, considerato che l'espressione «boschi e terreni non coltivati», di cui all'art. 3 della legge quadro, richiamata anche dalle leggi regionali di attuazione, deve essere letta insieme alle norme del codice civile (artt. 841 e 842 cod. civ.) e alle leggi sulla caccia e che, pertanto, è vietato raccogliere liberamente i tartufi oltre che nei terreni coltivati (per i quali, peraltro, la censurata legge regionale non prevede limiti dimensionali) anche nei fondi chiusi e recintati, secondo le previsioni del codice civile e, comunque, nelle aziende faunistico-venatorie che sono chiuse con recinzioni, barriere o palizzate secondo le previsioni delle leggi regionali sulla caccia (sentenza n. 328 del 1990). In tali ultimi casi, dunque, il diritto di proprietà sui tartufi è riservato dal legislatore a tutti coloro che hanno diritti di godimento o di proprietà sul fondo, anche se non vi sia stata alcuna apposizione di tabelle recanti il divieto di raccolta di tartufi, non essendo consentita, secondo l'interpretazione che questa Corte ha dato delle norme applicabili, la libera raccolta.

La limitazione introdotta dal legislatore regionale all'estensione territoriale delle tartufaie controllate non risulta, quindi, né irragionevole né contrastante con gli artt. 41 e 42 Cost. in quanto, come si è detto, la stessa risponde all'esigenza di evitare una eccessiva compressione del principio fondamentale della libera raccolta nei boschi e nei terreni non coltivati e compie un non censurabile bilanciamento tra i diritti dei proprietari o conduttori dei fondi (che potranno escludere l'accesso agli estranei chiudendo il fondo) e l'utilità sociale correlata alla possibilità di libera raccolta nei boschi e nei terreni non coltivati così come sopra restrittivamente individuati. Infine, anche l'ultima questione sollevata dal TAR in relazione all'art.18 della legge della Regione Umbria n. 8 del 2004 che impone, entro un anno dall'entrata in vigore della legge, una riperimetrazione delle tartufaie controllate costituite precedentemente, non è fondata. Il regime transitorio ora indicato non è irragionevole posto che «se da una parte il legislatore, per salvaguardare posizioni acquisite e temperare le conseguenze dell'impatto di una nuova normativa, può dettare norme transitorie intese a mantenere ferme disposizioni abrogate per situazioni precedenti

l'entrata in vigore della nuova legge, dall'altra, per non cadere nell'irrazionalità e non ledere norme costituzionali, deve evitare che la disciplina differenziata si estenda a categorie così vaste e senza limiti di tempo con l'effetto di realizzare non il graduale e sollecito subentro della nuova normativa, ma un notevole svuotamento del contenuto di quest'ultima, lasciando nell'ordinamento sine die una duplicità di discipline diverse e parallele per le stesse disposizioni»

(sentenza n. 378 del 1994).

D'altra parte, laddove fosse prevista per le tartufaie controllate già riconosciute la non applicabilità sine die dei nuovi limiti territoriali, si determinerebbe una evidente disparità di trattamento tra coloro che si sono avvalsi del regime più favorevole e coloro che, invece, devono subire il limite introdotto dalle norme censurate, con l'ulteriore effetto che il differente trattamento potrebbe determinare effetti distorsivi sul mercato, con lesione del

principio della concorrenza.

Né può essere lamentata una sproporzione talmente marcata tra la normativa a regime e la disposizione transitoria da trasmodare in irragionevolezza, posto che il comma 5 dell'art. 9 della medesima legge regionale prevede che «il riconoscimento delle tartufaie controllate ha validità quinquennale» ed il censurato comma 2 dell'art.18 della legge regionale n. 8 del 2004 prevede che la riperimetrazione debba avvenire entro il termine di un anno.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 18 della legge della Regione Umbria 26 maggio 2004, n. 8 (Ulteriori modificazioni ed integrazioni della legge regionale 28 febbraio 1994, n. 6 - Disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo dell'Umbria con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo

della Consulta, il 18 maggio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2009.

 

Corte Costituzionale

Raccolta libera dei tartufi:

- ambiti territoriali

- questione di legittimità costituzionale: infondatezza

1. Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, lettera a), e 4 della L.R. 26 maggio 2004, n. 8, Regione Umbria, censurati per contrasto con l'art. 117 Cost., commi secondo, lettere l) ed s), e terzo. L'art. 2, lettera a), non supera i limiti fissati dalla norma di principio statale in quanto non amplia, rispetto a quanto previsto nella legge-quadro statale L. 16 dicembre 1985, n. 752, gli ambiti territoriali in cui è libera la raccolta dei tartufi. L'art. 4, definendo il requisito della "presenza diffusa", ai fini del riconoscimento delle tartufaie controllate, e stabilendo limiti massimi di superficie, non contrasta con la legge quadro L. n. 752 del 1985, che contiene una definizione generica, insuscettibile di pratica applicazione, delle tartufaie controllate e deve, pertanto, essere integrata dalla norma di dettaglio regionale che individua in concreto i requisiti per il riconoscimento.

Sent. n. 212 del 01-06-2006,