Associazione Tartufai "Il Perugino"
fonte food.ilsole24ore
Coltivare tartufi è un buon investimento che garantisce una rendita futura. Ha un costo di manutenzione minimo e richiede poca mano d’opera. L’attività è alla portata di qualsiasi imprenditore agricolo che non avrà certo problemi di mercato: la commercializzazione del prodotto è estremamente facile. Si prevede una densità minima di circa 500 piante per ettaro di terreno, per un investimento che non supera i 6mila euro (il costo delle piantine). La coltivazione dà ricavi superiori di 30 volte a quelli quella vigna. Aziende specializzate affiancano i neofiti. Ma bisogna saper attendere.
Primo passo, l’analisi del terreno
Si parte dal terreno: vanno beve tutti, esclusi quelli paludosi, le aree sopra i 1000 metri di altezza e le zone sabbiose. E’ importante eseguire una valutazione dei parametri, controllando granulometria, ph, humus, fosforo, carbonato, azoto. Se risulta idoneo sarà possibile mettere a dimora piccoli alberi micorizzati, ovvero infestati dalle spore di tartufo. Meglio farlo in estate e su piante certificate. Tiglio, nocciolo e roverella per il Bianco pregiato, faggio, leccio e rovere per lo Scorzone.
In 11 anni l’apice produttivo
Per la coltivazione del fungo ipogeo vanno bene in ogni caso tutte le piante boschive tipiche della macchia mediterranea. E’ necessario eliminare erbe che possano impedire la crescita del tartufo, utilizzando solo attrezzi manuali. Irrigare sono in periodi di siccità. E combattere i parassiti con metodi naturali. Il tempo di attecchimento è di circa 4 anni, all’undicesimo si raggiunge l’apice produttivo che persiste anche fino a 80 anni.
L’Ue riconosce i tartufi come prodotti agricoli
E’ possibile impiantare un bosco in zone marginali, a rischio erosione, contribuendo a contenere il dissesto idrogeologico. L’Unione europea finanzia la posa in opere di tartufaie e, da un anno, riconosce i tartufi come prodotti agricoli. Una misura che in Italia deve essere ancora recepita e che porterebbe la tassazione del prodotto fino al 10% (non più il 22%): nel Belpaese la ricerca del tartufo però è ancora “libera nei boschi e nei terreni non coltivati”. Così spariscono le tartufaie spontanee.
Tartufaie innovative
Matteo Bartolini, della Confederazione italiana agricoltori, ha avviato qualche anno fa a Città di Castello un progetto di ricerca con l’Università di Perugia su 14 ettari di terreno “svantaggiato” per la coltivazione di tartufo in tutte le stagioni, puntando sul nero pregiato di Norcia, sul nero estivo, il nero invernale di campo e il Bianchetto. Applicando sensori alle piante, ha ottenuto indicazioni costanti per l’irrigazione e la concimazione, riuscendo a ridurre il tempo di produzione e a razionalizzare le risorse idriche. “Siamo al quarto inverno e la condizione del terreno e delle piante – spiega Bartolini – lascia sperare in tempi di crescita più rapidi”. Presso la sua azienda Cà Solare è aperta la Truffle school frequentata da americani, canadesi, australiani, russi e cinesi. I quali, in genere, chiudono il ciclo delle lezioni adottando una pianta da tartufo. Il raccolto, si spera, fra meno di 2 anni.